Profumo di Casa., 3 Giugno, 1953 - (Soleggiato)

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view post Posted on 4/8/2010, 16:17

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{Anica Juan Enrique}
Estación de Francia - 9.35 am;


Quando il treno emanò un denso sbuffo di vapore bianco sporco, frenando sui binari ferrei, il cuore della ragazza sobbalzò come scosso da un fremito interno.
Era ancora tra le braccia di Morfeo, quando l'uomo grassoccio e sudato che le sedeva accanto, le posò le dita unte sulla spalla, come per svegliarla, nonostante il tocco prolungato non fece altro se non lasciarle intendere che sotto vi fossero idee meno nobili.
-Señorita, siamo arrivati- come previsto anche la sua voce suonava sgradevole. Come se la massa adiposa che giaceva sotto il mento gli impedisse di parlare con voce corretta ed altisonante.
Anica aprì gli occhi lentamente, lasciando che le lunghe ciglia nere rivelassero le iridi metalliche, di quella particolare cromatura che le rendeva liquide come il piombo fuso.
Mise subito a fuoco il compagno di viaggio, anche se con una nota di disgusto, sottraendosi veloce alle dita dell'uomo che sembravano volersi chiudere in una presa solida sulla sua spalla.
-Thanks...- mormorò nella lingua della sua madrepatria, notando poi che il sorriso dell'uomo si faceva incerto. Doveva essere spagnolo...e probabilmente non aveva viaggiato un granchè nelle colonie inglesi da comprenderla.
-Gracias, Señor- si corresse allora, regalandogli uno dei suoi sorrisi più ampi ed angelici, mentre recuperato il misero bagaglio beige, si affrettava a scendere dal treno vivo e sbuffante, quasi trascinata dalle ondate di pendolari e stranieri che s'affollavano sulle banchine.
La stazione odorava di fumo e polvere, mentre qualche imprenditore panciuto boccheggiava da un sigaro aromatico, lasciandole nelle narici l'odore speziato di questo, seguito poi dallo sgradevole fondo amaro.
Subito un velo di calore si posò sulla pelle di Anica, lasciandola per un attimo stordita. Non che l'Australia fosse più fredda, ma i fumi del treno e la massa lenta di persone, rendevano il tutto più afoso.
Con qualche sforzo la ragazza riuscì a distaccarsi dagli altri passeggeri, portandosi su un lato della banchina coperto. Lì un venticello fresco spirava appena, accarezzandole le braccia snelle, coperte dalla camicetta di seta avorio, elegantemente infilata nella gonna a tubino a vita alta che le fasciava i fianchi stretti con cura, disegnando alla perfezione la curva della vita esile.
Aveva indossato delle semplici scarpe nere dal tacco troppo alto. O almeno, qualsiasi donna minimamente abituata le avrebbe portate senza problemi...ma Anica non era certo tipa da agghindarsi a quel modo.
Alzò lo sguardo al cielo, dove un'arcata di vetri colorati non lasciava che gli occhi scorgessero il cielo. Eppure, al di là si potevano scorsgere le sagome delle nembi, muoversi veloci, trasportate dal vento, mentre qualche raggio di sole estivo colpiva la vetrata, irradiando l'intera stazione di meravigliosi giochi di luce, proiettando sulla sua figura slanciata colorati spettri. Un sorriso le nacque sulle labbra carnose, mentre con un grande respiro assicurava la stretta della destra contro la maniglia della valigia.
La sua città. Barcellona.
Era nata in Australia, certo...eppure non si era mai sentita così a casa, così a proprio agio. Era come se l'aria calda le stesse spirando direttamente in corpo l'ispirazione che stava cercando.
 
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vordak
view post Posted on 5/8/2010, 12:13




{Lena Barrera}

Perché stava andando alla stazione? Non riusciva ancora a capirlo, sapeva solo che i suoi piedi si muovevano per i fatti loro, e quando succedeva, la portavano sempre là, a farsi intossicare dal fumo dei treni e dal rumore assordante di motori che partono. Quando sorpassò l'arcata di metallo grigio e legno scuro si trovò d'improvviso immersa in quella realtà che le era estranea. Un ragazzo con un violino suonava in un angolo, la custodia aperta davanti ai piedi. Dentro, solo poche monete scure.
Le si strinse il cuore. Quante giornate aveva passato così? Quanti l'avevano guardata come adesso lei guardava quel ragazzo?
Prese il portafogli da sotto il golf rosso sangue e mise quattro monete nella custodia. Il ragazzo la ringraziò con un sorriso.
«Gracias, Señorita»
La voce era strana, roca, come se fumasse troppo. O avesse una malattia.
«You are welc...» si interruppe, sorridendogli di rimando. «Di niente. Riguardati.»
Se ne andò, camminando lenta e godendosi la luce colorata che riflettevano le vetrate. Adesso sapeva perché era lì. Perché, nonostante tutti gli anni passati a Barcellona, ancora non riusciva a smettere di pensare in inglese. Era ancora attaccata alla sua Irlanda, alla fine, e non le dispiaceva affatto.
Mentre pensava a questo, la mano le scattò al collo, a sfiorare il piccolo ciondolo a forma di edera. Sorrise.
Era come se stesse fluttuando in un'altra dimensione, senza vedere le persone che correvano a prendere il treno o che uscivano schiamazzanti dalle porte, diretti alla vita delle Ramblas.
Infatti non vide neanche la ragazza con le valigie contro cui andò a sbattere.
«Oh, I'm sor...» Perché, quando si ridestava di colpo dai suoi pensieri, le parole che le uscivano dalla bocca erano ancora in inglese? «Mi scusi, Señorita. Non ero molto concentrata su quello che facevo»
Ascoltando le voci attorno si stupì di sentire quanto la sua suonasse fuori luogo, dolce e con la "r" appena accentata. Non aveva nulla a che fare con quelle grette della gente di Barcellona. Sorrise alla ragazza, sperando che non la odiasse. Non fino in fondo, almeno.
 
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view post Posted on 5/8/2010, 16:41

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{Anica Juan Enrique}

Era ancora con la testa altrove, quando qualcosa la urtò, facendola oscillare pericolosamente su quei maledetti tacchi infernali. Ristabilito l'equilibrio si soffermò a guardare "cosa" le era venuto addosso, scoprendo così la figura sottile di una giovane ragazza forse sulla ventina. La prima cosa che la colpì, per forza di cose, fu il fuoco vivo dei suoi capelli ramati.
Sembravano scaturiti dalle fiamme più calde dell'inferno, come un incendio caldo ma distruttivo.
Quando poi questa si scusò, inizialmente in inglese, il cuore di Anica ebbe un sussulto. Una strana coincidenza.
Le sorrise con gentilezza, un sorriso delicato, di quelli per cui in molti l'avevano definita un angelo. In fondo, lei stessa non poteva vantare una certa stabilità e tantomeno un grande equilibrio. In sintesi, passava più tempo ad attutire il freddo terreno con il fondoschiena, che a stare in piedi.
-Non preoccupatevi- mormorò in risposta, rendendo ancor più disteso il dolce sorriso che sulle sue labbra sembrava brillare di luci tenui.
-Piuttosto, vi siete fatta male, Miss?- l'ultimo titolo di cortesia non fu del tutto involontario. Semplicemente, era curiosa di sapere se davvero quella ragazza dai capelli scarlatti condivideva il suo stesso sangue inglese. O almeno, nelle vene di Anica c'era quello della colonizzazione...non che fosse molto diverso.
Le iridi plumbee di Anica scesero a lambire il volto giovane della ragazza, in quell'attenta analisi che era solita fare, quasi involontariamente, delle persone. Non era una forma di pregiudizio, assolutamente. Anica trovava semplicemente interessanti le persone, chiunque esse fossero. Amava imparare a memoria i loro volti, associando i loro colori a qualcosa di unico in natura, per poi riportare molti di essi nel proprio libro. Che fossero personaggi minori o principali.
Così, negli occhi della giovane vi scorse un grande prato che si estendeva a vista d'occhio. Erano di un verde fulgido e brillante, abbastanza da riportarle alla mente i ricordi dell'infanzia, quando suo padre la portava all'orto botanico della città o al parco.
Vi era una luce viva a contornare le iridi, la luce abbagliante della giovinezza probabilmente, o il bagliore dell'intelligenza.
 
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vordak
view post Posted on 6/8/2010, 12:26




{Lena Barrera}

Quando Lena si concentrò più attentamente sulla ragazza che aveva urtato, sorrise di colpo. Aveva la pelle ambrata e morbida di una sirena orientale, i capelli scuri e lunghi fino a sotto le spalle. Ma ciò che più la colpì di quella ragazza esotica fu il sorriso, un sorriso aperto, gentile, dolce... il sorriso di un angelo.
Stava già per riprendere per la sua strada, andarsi a sedere sulle panchine davanti ai binari e guardare la gente andare e venire per Barcellona come in un sogno quando la ragazza parlò. Aveva una voce calda, dolce e, come la sua, nonostante parlasse spagnolo si sentiva che non era quella la sua lingua: aveva l'accento cadente dell'inglese. Chinò un attimo la testa per cercare di captare meglio la pronuncia, quando quel "Miss" fugò ogni suo dubbio.
Il sorriso più grande e aperto che avesse fatto da quando si era trasferita a Barcellona si dipinse sul suo volto pallido.
«Non si preoccupi, sono ancora abbastanza dura da saper resistere ad una botta» e le parole, questa volta, furono nella sua lingua.
Le sembrò un miracolo parlare in inglese sapendo di essere capita, senza bisogno di sforzarsi con quelle ñ e quella miriade di s nelle parole.
Tese la mano alla ragazza «Il mio nome è Lena! Immagino che voi abbiate capito che non sono spagnola. Sono Irlandese, o meglio... ero»
Quella precisazione le fece cadere il cuore fino ai calcagni, ma si sentiva in dovere di farla.
«Vi serve una mano con quei bagagli?»
 
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view post Posted on 6/8/2010, 14:43

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{Anica Juan Enrique}

La risposta della giovane arrivò alle sue orecchie in un inglese perfetto che quasi le provocò un fremito di nostalgia. Per quanto si sentisse spagnola, aveva passtao la sua vita nel calore avvolgente dell'Australia.
A giudicare dell'espressione rilassata della ragazza, Anica intuì che parlare nella sua lingua originaria doveva costarle molta meno fatica che cimentarsi nell'ardua pronuncia spagnola, così decise di venirle incontro, parlando anche lei in inglese.
Strinse con grazia la mano di Lena. La pelle era morbida e liscia al tatto, fresca come una ventata primaverile.
-Sono Anica. E' un piacere conoscervi, Lena.- seguitando quella piccola presentazione con un altro sorriso, per poi sciogliere la stretta di mano con la stessa eleganza.
Una ventata fresca le sfiorò le gambe nude, irrorandola di un piccolo piacere. In mezzo a tutto quel caldo, un pò di brezza era una manna dal cielo.
-Non mi aspettavo di trovare nulla di più vicino ad una "compatriota" in un posto come questo. L'Irlanda deve essere molto diversa dalla mia Australia- sentenziò con una piccola risata, immaginando quanto il clima potesse variare. Insomma, doveva piovere molto lì per far sì che venisse chiamata "The Green Ireland".
Alla precisazione di Lena, Anica si sentì male per lei. Sapeva cosa volesse dire cambiare paese. Per quanto puoi desiderarlo, ti rimane sempre e comunque un vuoto incolmabile nel cuore.
-Voi siete nata Irlandese. Neanche una città bella come Barcellona potrà mai negarvi questo, non dimenticatelo- e con quelle parole le regalò ancora un sorriso, ora più dolce. Possibile che il Destino fosse così previdente da unire due persone all'apparenza completamente diverse, ma incredibilmente simili?
Alla richiesta della giovane scostò i bagagli con un cenno gentile.
-Oh non preoccupatevi, assolutamente. Anche io sono ancora abbastanza dura da resistere a qualche valigia-
 
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vordak
view post Posted on 8/8/2010, 14:14




{Lena Barrera}

A Lena corse lungo la schiena l'impulso di abbracciare Anica, quando le strinse la mano. Le parole che le aveva detto sulla sua Irlanda le riempivano il cuori di gioia. Era esattamente quello che pensava lei.
«Suvvia, Anica, abbandoniamo questo "voi", mi fa sentire vecchia! Ho ventidue anni, ancora sono lontana da un ospizio, e tu non devi averne molti più di me!»
Sorrise di nuovo e un raggio di sole mattutino le illuminò il visetto pallido, facendole spendere di nuovo gli occhi di raggi smeraldini.
Dentro la stazione i raggi di luce colorati giocavano sul pavimento, con i refoli del vento fresco che giocavano tra le loro caviglie. Si strinse un po' di più nel golf rosso, chiudendolo sull'abito che le sfiorava i polpacci con la seta morbida.
L'ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti era stata la galletta con la marmellata che si era preparata la sera prima. Quella mattina, quando si era svegliata, aveva suonato per un'ora e poi, come se non l'avesse voluto, i suoi piedi l'avevano portata canticchiante fino alla stazione e adesso il suo stomaco nascosto sotto la stoffa piangeva miseramente.
«Dear, posso offrirti la colazione? C'è un posticino qua fuori che fa dei cappuccini con croissant che sono la fine del mondo!»
Si abbandonò ad una risatina infantile ma dolce, rassettandosi i capelli con una mano.
 
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5 replies since 4/8/2010, 16:17   103 views
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